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MO' BETTER BLUES
(MO' BETTER BLUES)
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 8 gennaio 1991
 
di Spike Lee, con Denzel Washington, Spike Lee, Joie Lee, Cynda Williams, Wesley Snipes, Giancarlo Esposito, John Turturro, Samuel L. Jackson (Stati Uniti, 1990)
 
Spike Lee è uno dei pochissimi, autentici autori cinematografici "neri" del cinema contemporaneo (assieme a Charles Burnett, rivelatosi con il recente TO SLEEP WITH ANGER). Ed il guaio per noi spettatori che ammiriamo il suo cinema da quando comparve - in tutta la vivacità e l'originalità di JOE'S BARBERSHOP, misero leopardo di bronzo a Locarno nel 1983... - è quello di osservarlo con occhi ovviamente "bianchi". Visto a questo modo MO' BETTER BLUES appare edulcorato ed edificante, proprio come DO THE RIGHT THING pareva violento e razzista.

Ma il cinema di Lee, proprio per quegli aspetti di autenticità che ci siamo affrettati a conferirgli quando girava dei film divertiti e rilassati, del tutto conformi all'idea che comodamente ci facciamo di una certa espressione nera, è un cinema destinato - come mi sembra ovvio - alle platee nere. Ed ecco allora un film "duro", come DO THE RIGHT THING; ecco ora, a succedergli, questo MO' BETTER BLUES, melodramma compiuto e giocato fino in fondo, con tanto di finale retorico nella tradizione ottocentesca dei Dickens e dei Victor Hugo...

Il linguaggio del film, con i dialoghi che ci incantano per la loro fantasia ma anche con l'inconsueta costruzione drammatica, fatta di quei sussulti e ripensamenti tipici della parlata di colore, è tutto segnato da ritmi, cadenze, organizzazioni tematiche che, se sono originali, è proprio perché vicine a quell'arte dell'improvvisazione organizzata che è tipica della musica che costituisce il tema dell'opera. Se DO THE RIGHT THING viveva su una lunga presentazione dei personaggi, una organizzazione degli spazi che sfociava finalmente sul quarto d'ora d'azione finale, ora in MO' BETTER i tempi sono egualmente insoliti. Tutto è esposto dapprima con un senso del rigore, del parallelismo puntuale: quasi a sposare quell'idea di un protagonista musicista di jazz probo e pignolo come un ragioniere, proprio all'opposto dei cliché dell'artista maledetto che i bianchi sembrano essersi costruiti su misura. Fino alla splendida scena centrale: con le due donne che entrano nel night avvolte nell'identico vestito rosso. Destabilizzando, oltre che il protagonista, anche quell'equilibrio che regnava fino a quel punto.

Il radicalismo di DO THE RIGHT THING trova la sua logica continuazione in quello che ad alcuni è apparso il sentimentalismo di MO' BETTER BLUES. L'itinerario di un cineasta che riflette esattamente le aspirazioni della comunità di colore americana: a cominciare dai ruoli, dai personaggi, dalle situazioni che Hollywood si è sempre rifiutata di concederle. Ma prima di ogni altra cosa, prima di essere un film scritto, fotografato, dialogato, recitato con la sapienza di un Woody Allen nero, M0' BETTER è, naturalmente, un film sul jazz. Il cinema di Lee inizia finalmente a pagare gli interessi che il cinema deve al patrimonio jazzistico, dopo anni di volgare saccheggio. E non soltanto perché avvolge il film nella splendida musica del trombettista Terence Blanchard e del quartetto di Branford Marsalis; o nell 'ombra dell'immenso John Coltrane, la sua immagine e il suo mitico "A Love Supreme" che imprime il finale di volitiva malinconia, e costituisce uno dei riferimenti del film. Ma perché cogliendo, forse per la prima volta al cinema, la dimensione assoluta a trascendentale del linguaggio jazzistico, mettendola in rapporto con la lealtà che è alla base del protagonista interpretato da Denzel Washington, Spike Lee esprime qualcosa di più di una passione: l'incontro, ancora aperto a mille soluzioni espressive, fra due dei linguaggi artistici che hanno segnato indelebilmente il nostro tempo.


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